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Il caffè decaffeinato fa male?

Il caffè decaffeinato fa male?

Rito italiano per eccellenza, declinato in mille versioni al bar, sul suo conto si sono diffuse convinzioni non sempre radicate, non sempre generalizzabili, non sempre vere. Amato e apprezzato per il suo aroma ricco e sensuale, prezioso per chi vuole mantenersi sveglio e attivo, le controindicazioni del caffè (a seconda della sensibilità personale e della quantità) vanno dall’alterazione del ritmo cardiaco e dei ritmi del sonno all’accentuazione di stati di ansia o di depressione, effetti dovuti principalmente alla caffeina, un alcaloide il cui effetto stimolante è conosciutissimo.

Meno conosciute sono le proprietà benefiche del caffè. Innanzitutto, sembra ormai smentita la tesi secondo cui favorirebbe i tumori del pancreas e della vescica; sembra anzi che i polifenoli del caffè possano avere un effetto anticancro. Anche la supposta pesantezza a carico del fegato è stata riconsiderata. Alla fine del 2003 una notizia ha fatto gioire gli appassionati fruitori della tazzina mattutina (e delle successive repliche): secondo il Dipartimento di Scienza degli alimenti dell’Università Federico II di Napoli (su Alimentary Pharmacology & Therapeutics), cinque caffè al giorno, il consumo medio dei bevitori di caffè italiani, farebbero aumentare del 16% nel plasma la concentrazione di glutatione, il principale antiossidante endogeno prodotto dal fegato. L’effetto è dovuto alle sostanze fenoliche presenti nella bevanda ed è il medesimo che sia espresso, moka o decaffeinato. Il glutatione nel sangue potrebbe essere utile nella cura di epatiti C e cirrosi epatiche, casi in cui si rileva un suo decremento.
Il caffè è utile nella terapia sintomatica dell’asma perché la caffeina, soprattutto nei pazienti giovani, stimola la dilatazione dei bronchi. Giova a chi soffre di febbre da fieno e di riniti allergiche, in quanto riduce l’affaticamento dei muscoli respiratori.
Aiuta a digerire perché eccita la secrezione cloridrica, grazie all’acido clorogenico, che c’è anche nel decaffeinato. Acido che tra l’altro è in grado di inibire l’assorbimento intestinale di glucosio e ridurne la quantità prodotta dal fegato, cosa che ha suggerito effetti positivi contro il diabete. La conferma arriva fumante da uno studio americano: “Bere caffè riduce il rischio di contrarre la forma più comune di diabete, quella che arriva con gli anni”. La ricerca della Harvard School, pubblicata a gennaio 2004 negli Annals of Internal Medicine evidenzia come gli uomini che bevono più di 6 tazzine di caffè – stavolta non decaffeinato – al giorno riducano della metà le probabilità di contrarre il diabete di tipo 2. Per le donne lo “sconto” di rischio è minore, ma comunque interessante: le 6 tazzine al giorno abbassano i rischi di diabete del 30%. Ma lo stesso autore della ricerca, Frank Hu, nota: “aspettiamo a incoraggiare una campagna preventiva di questo tipo, non sappiamo ancora perché questo avviene e, soprattutto, quali problemi collaterali possano dare 6 e più tazzine di caffè al giorno…”.

Sembra perfino che i tannini del caffè possano avere un effetto anticarie, perché contrastano lo sviluppo dei batteri cariogeni. Può dare una mano anche a chi vuole dimagrire perché stimola la lipolisi epatica, ovvero aumenta la capacità dell’organismo di “bruciare” i grassi dei tessuti adiposi, risparmiando gli zuccheri (glicogeno) che servono per gli improvvisi scatti di energia.

Alla luce di tutto questo, le asserzioni salutistiche vantate dal caffè decaffeinato perdono un po’ di credibilità.

Come si fa il caffè decaffeinato. Ovvio, il caffè va assunto con moderazione, ricordando pure che il caffè fatto con la moka a casa ha il 20-25% in più di caffeina rispetto all’espresso del bar. Ma il procedimento per levargliela ha poco a che fare con la genuinità. I chicchi vengono trattati con vapore, poi l’estrazione della caffeina si attua con i solventi. Il solvente viene recuperato con la caffeina, di cui l’industria farmaceutica è ghiotta. Infine, nuovo lavaggio con vapore ed essiccazione. Si tratta di depauperare l’integrità di un alimento. Si tratta di usare solventi, derivati dagli idrocarburi clorurati, non idrosolubili, e un lavaggio con acqua calda non può escludere l’eventualità di residui la cui tossicità è pari a quella della benzina. Difatti nel caffè decaffeinato la legge tollera residui di etilmetilchetone (butanone).

Concediamoci un normale caffè. Un piacere moderato non fa male.

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